UNA VITA IN CAMPO
Lunedì 7 maggio 2018 noi alunni della classe 3^A della scuola secondaria di I grado di Rivarolo Mantovano abbiamo avuto il piacere di conoscere un grande campione dello sport: Sergio Girardi.
L’ex portiere è stato invitato nella nostra scuola insieme ad Adalberto Scemma, docente universitario e giornalista, e allo scrittore Alberto Rebuzzi, all’interno del progetto “Panathlon International”.
Girardi, prima di essere da noi intervistato, ha spiegato brevemente la sua carriera partendo dagli esordi in Serie A con la maglia del Mantova nel 1967, per poi passare la stagione successiva all’Inter, poi al Palermo per quattro stagioni e al Genoa per sei stagioni. Ritornò al Mantova nel 1980 per quattro stagioni e l’ultimo campionato fu nel Ravenna. Durante la sua carriera ha totalizzato complessivamente 111 presenze in Serie A e 224 presenze in Serie B.
Ritiratosi nel 1985 ha poi proseguito con successo come allenatore di portieri. Una vita in campo insomma!
Poi ha lasciato che noi alunni gli ponessimo delle domande sulla sua straordinaria carriera.
Siamo alunni di tredici-quattordici anni, al termine della terza media e con l’ansia per gli esami, ma anche ragazzi che amano lo sport. Com’era Lei alla nostra età? Che tipo di ragazzo era?
Sono nato a Belfiore, un piccolo paese in provincia di Verona, nel 1946. Difficile paragonare i tempi, era un’altra epoca: si era più chiusi mentalmente. Ero comunque un ragazzo come voi, uno spirito libero, un volitivo. Amavo studiare per prendere buoni voti e per avere nuove competenze. Era importante l’amicizia e la solidarietà: dare prima di ricevere.
Che tipo di educazione ha ricevuto dai Suoi genitori? Accettava le regole o eventuali rimproveri? Era disciplinato?
Sono cresciuto senza un padre. Avevo solo due anni quando mia madre ha dovuto crescermi da sola. Lei però non mi ha mai fatto mancare nulla; mi ha insegnato molte regole per essere disciplinato ed educato. Dovevo avere rispetto di tutto e di tutti, essere serio, leale e onesto.
Ha avuto da sempre la passione per il calcio?
Sì, da sempre. Dopo la terza media ho iniziato a lavorare presso un falegname al mattino e al pomeriggio giocavo sempre a calcio. Ho sempre amato gli sport di gruppo, importantissimi per la crescita di un ragazzo.
Noi quest’anno abbiamo scelto che scuola frequentare l’anno prossimo e abbiamo pensato al nostro futuro lavoro: Lei immaginava già che avrebbe intrapreso questa professione dopo gli studi?
Da ragazzo giocavo nell’Azzurra di Verona, una squadra giovanile allenata da Guido Tavellin, l’ex attaccante del Verona. Già all’età di undici anni sono stato notato fra tanti per le mie qualità, ma quando ho fatto il provino per il Mantova e mi hanno accettato, non era facile spostarsi, non c’erano molti mezzi.
Chi ha scoperto il Suo talento?
Il mio primo allenatore, Guido Tavellin appunto, mi stimava molto e voleva che un giorno arrivassi a giocare nel Verona. Non ce ne fu mai l’occasione però. Infatti, all’inizio degli anni Sessanta, mi sono trasferito a Mantova da solo, al convitto in Galleria Ferri in centro città, portato dal Cavalier Scemma e voluto da Edmondo Fabbri, e così cominciai la trafila nelle giovanili dell’A.C. Ozo Mantova.
Le è sempre piaciuto il Suo ruolo o Le sarebbe piaciuto cambiare?
Il mio ruolo mi è sempre piaciuto, anche se è un ruolo…”da pazzi”! (Dice sorridendo). Il portiere è colui che ha la responsabilità del risultato di tutta la squadra. Io perdevo due chili per l’ansia da prestazione: in base all’azione l’agitazione sale o scende.
Aveva qualche idolo?
Sì, era Lorenzo Buffon (cugino del nonno di Gianluigi Buffon), uno dei migliori portieri nella storia del calcio italiano. Ha giocato nell’Inter e nel Milan.
Considerava lo sport un sacrificio o un divertimento?
Per me lo sport è sempre stato un divertimento.
Quali sono i suoi pregi? E i Suoi difetti?
I miei pregi sono l’umiltà, la comprensione, la serietà, il rispetto, l’umanità, la sincerità e la sopportazione. Un mio grosso difetto è il vizio del fumo, che ho ancor oggi. Quando sono diventato allenatore cercavo di non farmi vedere dai miei allievi per non dare il cattivo esempio. Se ne vedevo uno fumare mi arrabbiavo molto!
Ha giocato in diverse squadre: Mantova, Inter, Palermo, Genoa. In quale si è trovato meglio e perché? In quale invece non si è sentito pienamente a Suo agio?
Nel campionato 1967-68 fui schierato alla seconda giornata, in casa contro l’Inter, e finì 0-0. Avevo molta paura ma le ho parate tutte! Quelle emozioni rimangono tutta la vita. Quando arrivai all’Inter, nell’estate del 1968, ero felicissimo: dopo il primo anno di serie A con il Mantova, ero in una delle squadre più forti d’Italia e d’Europa. Lo stadio di San Siro metteva i brividi: è impressionante vedere la gente al di sopra della tua testa. Nessun altro stadio ti dà brividi di questo tipo. Poi mi sono trovato benissimo anche nel Palermo: i tifosi erano molto calorosi.
È stato difficile cambiare squadra più volte durante la propria carriera e ambientarsi in diverse città? Come si rapportava con i diversi presidenti? È sempre stato d’accordo con le scelte prese della Sua Società?
Non è stato semplice. All’epoca comandavano le società e non c’era modo di poter scegliere la destinazione più gradita. Comunque ho sempre accettato le decisioni prese dalla società.
È riuscito a conciliare lavoro e famiglia? I suoi famigliari L’hanno sostenuta? Si è mai trovato nella condizione di mettere al primo posto il calcio o la famiglia?
È stato molto difficile. Ricordo che, appena sposato, quando andavo a Palermo in aereo avevo molta paura di cadere. Poi i numerosi allenamenti settimanali, dalla mattina alla sera, e partite ogni tre giorni erano davvero impegnativi. Comunque la famiglia è sempre stata importante per me.
Che rapporto ha avuto con i suoi compagni di squadra? Ha mantenuto alcune amicizie?
Ho avuto con loro un rapporto di fiducia e rispetto. Quando arrivai all’Inter ero giovanissimo ma mi fecero giocare subito da titolare: con i grandi campioni sono riuscito subito a integrarmi, guidavo la difesa con autorità ma pur sempre con rispetto. Inoltre ricordo che quando ero al Mantova, pranzavamo tutti insieme, mentre quando giocavo nell’Inter c’erano diversi tavoli da quattro persone: alla fine però sono diventato amico anche dei più forti. Una curiosità: il medico della squadra aveva stabilito una dieta per tutti ma la cuoca, che ci voleva bene come una mamma, a turni ci chiamava in cucina per darci più cibo!
Che rapporto aveva con la tifoseria? Quale stadio Le ha dato più emozioni? Quale pubblico è stato più caloroso? È vero che salutava anche i tifosi avversari?
Con i miei tifosi avevo un buon rapporto e in campo salutavo anche i tifosi della squadra avversaria: per questo motivo all’inizio mi fischiarono contro ma io continuai a farlo perché era un gesto di rispetto verso chi pagava il biglietto per assistere ad uno spettacolo, di cui ero parte. Per questo motivo non venni più fischiato.
Come si sentiva quando era in campo?
Provavo una sensazione molto strana: agitazione prima delle partite e ansia da prestazione.
Lei ha subito degli infortuni?
Sì, ma non gravi. Quando succedeva andavo dal medico della squadra che mi diceva di aspettare qualche mese e poi riprendevo.
È mai stato espulso? Se sì, come ha reagito?
Sì, una volta. Ho anche provato a contestare l’arbitro, rincorrendolo per far valere le mie ragioni. Sono stato richiamato ma alla fine anche l’arbitro è stato sospeso.
Come si è sentito al termine della Sua carriera?
Ho smesso a quarant’anni: l’allenatore mi ha consigliato di continuare ma il fisico non reagiva più.
Poi ho sempre messo la famiglia prima di tutto. Era ora di smettere. Poi la proposta di diventare allenatore.
Cosa pensa del calcio oggi? È diverso rispetto al passato? E cosa ne pensa dei ricchi compensi che ricevono oggi i grandi calciatori?
Il calcio è cambiato molto. Pensate che io mi sentivo in imbarazzo quando andavo dal panettiere e compravo qualcosa che era già stato offerto da altri: ero costretto a non andarci più. Secondo me oggi i calciatori ricevono grandi stipendi perché ci sono tanti tifosi. Più tifosi ci sono più aumenta il loro compenso.
Lei ha avuto diversi allenatori ed è stato a sua volta allenatore dei ragazzi per diversi anni: cosa ha imparato e cosa ha insegnato?
Ho imparato a essere sincero e insegno a dire sempre la verità. Ho sempre cercato di raccogliere tutte le esperienze positive per insegnarle ai giovani. È difficile allenare ragazzi della vostra età, bisogna far divertire tutti anche chi non è interessato. Devi saper prendere i ragazzi. Loro apprendono tutto quello che gli insegni con entusiasmo. Io insegno ai ragazzi la tecnica, il modo di coordinare il corpo, come devono posizionarsi e muoversi per andare a prendere il pallone, ma soprattutto cerco di tirarne fuori il meglio. Io sono contento quando riesco ad insegnare a un ragazzo a giocare al meglio delle sue possibilità. Spiego a loro che l’obiettivo è giocare al massimo delle loro possibilità, non quello di farne portieri di serie A. Il problema è farlo capire a certi genitori che ripongono troppe aspettative nei figli e credono di avere in casa un campione.
Ha allenato portieri che hanno avuto successo?
Sì certo. Tra i tanti ci sono Gianluigi Donnarumma, portiere del Milan e della Nazionale, Nicola Leali, del Perugia, e Alessio Cragno, del Cagliari.
Da cosa si intuisce che un ragazzo è portato per fare il portiere?
Prima osservo la statura, le mani, la tecnica, la capacità di apprendimento, la forza muscolare e la passione. Poi osservo soprattutto come si muove, i suoi tempi di reazione. Quello che cerco di insegnare da un punto di vista tecnico è il coordinamento del corpo, la posizione che si deve assumere per andare a fare una parata. Il piede, ad esempio, deve essere rivolto nella direzione in cui ci si muove, per aiutare lo slancio muscolare.
Cosa ne pensa degli atleti che si dopano?
Ovviamente sono contrario, è una cosa terribile. Si è completi con una sana vita alimentare e un allenamento costante.
Sappiamo che viene ospitato in diverse scuole per parlare della sua esperienza e del valore dello sport: che consigli si sente di darci?
Vivere al meglio tutti i giorni della vostra vita, rispettare le persone e le regole, darsi degli obbiettivi, avere dei sogni. Bisogna inoltre amare lo sport perché lo sport è vita.
Sergio Girardi, facendosi più serio, ci ha poi raccontato un evento doloroso della sua vita che ancor oggi, a distanza di trent’anni non riesce a dimenticare.
Nel 1980 - racconta – sono stato coinvolto nello scandalo del Totonero e per questo sono stato arrestato il 23 marzo. Io ero innocente e siccome mi assicurarono che le indagini si sarebbero concluse rapidamente, entro un mese, riuscii a rimanere sereno in attesa che finissero gli accertamenti. Venni completamente scagionato da ogni accusa e potei tornare a giocare dopo il mese di sospensione preventiva. Ma da allora sono ancora arrabbiato con chi mi ha accusato ingiustamente. I compagni di classe di mia figlia le dicevano: “Tuo padre è un delinquente” e la maestra la difendeva. Mia figlia sapeva la verità ma era comunque doloroso. Anche dopo che sono stato scagionato c’era ancora chi pensava che io avessi pagato qualcuno per essere liberato. La foto in manette era in prima pagina, mentre quando sono stato liberato è apparso solo un articoletto. Da allora non mi fido più di nessuno perché sono stato tradito da amici e anche da persone che neanche conoscevo. Io sono innocente e ho sempre detto la verità. Servirebbe più diplomazia e dolcezza. Ma non voglio essere ricordato per quell’episodio.
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Al termine dell’incontro eravamo commossi e anche entusiasti. Abbiamo scattato foto, a qualcuno ha rilasciato un autografo e ci ha regalato anche delle foto del suo album.
Onorati della sua presenza lo abbiamo ringraziato per le sue parole sincere e i suoi insegnamenti.
Per noi è stata una giornata speciale: ci ha messo a nostro agio e ci ha dato consigli per la nostra vita. Il dibattito, moderato da Rebuzzi e abilmente condotto da Scemma, è stato quindi anche l’occasione per una riflessione personale sul nostro futuro.
Grazie!
Gli alunni classe 3A
Rivarolo Mantovano